Parole che non vanno in ferie. 4. Passione

Passione. Parola meravigliosa, nella quale è racchiusa la “cifra” di una vita.

Perché ci alziamo al mattino, affrontando le incognite di un nuovo giorno?

Se a darci la molla, per lasciare il sicuro rifugio del letto e lanciarci nell’avventura di una nuova giornata, è qualcosa di meno della passione, allora stiamo ancora vivendo a metà.

Si vive, quando dentro di sé si alimenta incandescente la passione; si vive a metà, quando non ci si cura di custodire e alimentare la propria interiore passione; ci si lascia vivere, quando ormai dentro è spenta ogni passione: è l’abulia dello spirito.

Ma allora, che cos’è passione? Il vocabolario Treccani la definisce così: «inclinazione vivissima, forte interesse, trasporto per qualche cosa». Detta con parole nostre, passione è quell’insieme di emozioni, desideri, progettualità, sentimenti, che facciamo convergere verso un obiettivo.
Una passione senza obiettivo degenera in spontaneismo, superficialità, vagabondaggio, banalità…
Una passione che si prefigge troppi obiettivi diventa dispersione, risulta vanificata. Quella forza propulsiva che racchiude in sé viene annullata.

Ma occhio a cosa ha di mira la passione. Potrebbe trattarsi di un obiettivo buono, che vale la pena; ma anche di un obiettivo cattivo, basso, indegno, e allora la passione diventa un’arma distruttiva….

Insomma, la passione è come l’uranio; dipende da come lo si utilizza: con l’uranio si può costruire la bomba atomica; ma anche dare luce ad un’intera città.

La passione fa la differenza nel modo in cui viviamo. Immaginiamo una città governata con passione; il ruolo di educatore e di insegnante svolto con passione; una professione esercitata con passione; lo studio affrontato con passione; la missione di evangelizzare, di annunciare Cristo, di curare le piaghe del cuore, di catechizzare, di intercedere, portata avanti con passione: cambia tutto…

Nell’immaginario collettivo la passione viene intesa come qualcosa che ad un certo punto in noi prende il sopravvento, finisce per travolgerci. Ancora, comunemente viene intesa come quella forza che ci spinge a soddisfare ogni nostra curiosità; ogni nostro sfizio. “Perché no?”, è la domanda che sovrintende la passione così intesa, la quale non conosce limiti, né divieti, né regole… tutto può essere sperimentato, assaggiato, raggiunto e anche carpito.

Lo pensava anche il giovane Agostino, che negli anni dell’adolescenza e della sua giovinezza fu

«riarso dalla brama di saziarsi delle cose più basse – sono parole sue – e non ebbe ritegno a imbestialirsi in diversi e tenebrosi amori».

Eccole lì, le cupiditates, nome proprio con cui Agostino individua le tante, svariate, scarmigliate passioni lasciate a briglia sciolta galoppare dentro di sé e concretizzarsi in azioni fuori di sé:

«Niente mi deliziava quanto amare ed essere amato. Ma non ne mantenevo la misura, da anima ad anima…»
(Confessioni 2, 2,2).

Agostino “sconfinava” col suo modo di amare; con la sua aspirazione ad emergere e a primeggiare, desideroso di carriera, visibilità e lodi; sconfinava, ancora, alimentando una passione per il teatro spropositata; sconfinava perfino nel gioco, dove non sopportava chi barava, ma dove barava pur di poter vincere…

L’esito di quegli anni trascorsi in balia delle passioni è sintetizzato da Agostino così:

«Ma era vita quella mia vita, mio Dio?»
(Conf. 3, 2, 4).

Già. Quando si vive in preda alle proprie passioni, si diventa infelici, e in fondo si sta vivendo al di sotto della misura della propria umanità.

Allora, come fare? Non sarebbe più facile soffocare le proprie passioni, zittirle, vivere senza dare loro ascolto? No. Questa sarebbe la tragedia delle tragedie. Vivere senza mettere in campo le proprie passioni è la vera tragedia. Come quei tali, che Dante dice vissero «senza infamia e senza lode»: per la paura di sbagliare, timorosi di cosa sarebbe successo usando delle proprie passioni, si ridussero a vivere… da morti; si accontentarono di una “non-vita”, perché vivere è decidere e decidersi, mossi da una passione illuminata da una sana motivazione; e l’incapacità o il non voler prendere decisioni di fronte alla vita, ci paralizza e ci imprigiona in qualcosa che è meno della vita stessa..

«I santi sono passioni convertite», affermava il teologo Romano Guardini. Ascoltare questa frase per la prima volta in monastero, fu una sorpresa stupenda. Che bello, sentir circolare discorsi del genere; che respiro, che ampiezza di orizzonti! Allora questo significa che c’è spazio per tutti, per tutti e per ciascuno. Che c’è speranza per tutti: anche per me e per te.

Le cupiditates in Agostino ad un certo punto divennero amor; divennero dilectio: non più qualcosa di plurale, istintivo, disordinato. Nella loro sostanza non sparirono, ma divennero altra cosa. Più matura, serena; più intensa. Agostino non ci arrivò da solo. Ebbe bisogno dell’aiuto del vescovo Ambrogio, che gli spiegò la Scrittura; ebbe bisogno di amici che stessero ad ascoltare i suoi sfoghi e i suoi pianti, senza giudicarlo, semplicemente accogliendolo così com’era.

L’incontro con la parola di Dio prima, e l’incontro personalissimo con la Parola con la maiuscola, l’umile Gesù, Verbo fatto carne, mutò in Agostino le cupiditates in amor:

«Ciò di cui in coscienza io non dubito, Signore, è che amo te. 
La tua parola mi ha colpito in cuore, e io ti ho amato» (Conf. 8, 4, 10).

Ecco che finalmente la passione si poté esprimere in lui come amore pacificato, con un orientamento di fondo al quale incessantemente tendere, e al quale condurre anche altri:

«Tu, Signore, hai voluto darmi per servi i figli tuoi, miei fratelli, comandandomi di servirli, se voglio vivere con Te e di Te»
(Conf. 10, 4, 5).

Agostino,  “passione convertita”: non più uomo in preda alle proprie passioni, ma un uomo capace di governarle, quelle stesse passioni, di dirigerle verso un unico, positivo, attraente punto-luce: questo il significato di tante raffigurazioni nelle quali è posto in evidenza il cuore che Agostino regge nella sua mano. Un cuore acceso, infiammato, ardente; ma anche ferito.

Sì: perché mettere in campo la propria passione espone a patire…
patire per, patire con.

A ciascuno di noi Agostino rivolge la pro-vocazione: “Interroga il tuo cuore. Quale passione lo anima? Verso chi e verso cosa lo muove? è viva, questa passione, o sonnecchia, o è smorta?”.

 

***

Scuotici, Signore, infiammaci e rapiscici, 

sii fuoco e dolcezza:

impareremo a correre nell’amore.

(Confessioni 10, 4, 5)

 

 

 

 

 

 

 

Commenti(5)

  1. Giulio dice

    Ancora, da Voi, Suore care, una lezione per una ripartenza. Tutto, o quasi, e’ sbiadito ed amorfo, nei mestieri, nelle professioni, nella conduzione della cosa pubblica, perché manca la ‘passione’. Si riaccenda questo fuoco, allora, ciascuno dalla propria postazione, iniziando nell’intimità della famiglia.

  2. Monica dice

    Da meditare parola per parola bellissimo Agostino “passione convertita”grazie

  3. Carmelina Graziano dice

    Carissime, vi ringrazio per questa bellissima lezione che mi è giunta ieri di buon mattino. Siete magistrali nel trasmettere il vostro sapere, i vostri scritti non stancano, non annoiano, mi tengono sempre attenta. Nella nostra comunità, siete un esempio vivente di questa Passione che vorrei raggiungesse i cuori di coloro che hanno più responsabilità nella società.

  4. Cinzia dice

    Condivido tutto cio’ che hanno scritto gli altri lettori. Questa, poi, e’ a mio giudizio la piu’ bella fra le vostre tutte bellissime lezioni.
    Con passione…grazie!

  5. Giuseppe Maringolo dice

    «Ciò di cui in coscienza io non dubito, Signore, è che amo te.
    La tua parola mi ha colpito in cuore, e io ti ho amato» (Conf. 8, 4, 10).
    Catechesi che entra nel corpo fino ad elevare l’anima…..gradita al nostro Signore Gesù quale ringraziamento del dono della vita terrena. Uniti nella preghiera.

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