Basta un semplice boccone per riaprire canali di memoria ostruiti dal tempo; per riattivare affetti e rimettere in circolo calore. Se vuoi bene ad una persona, cerchi di metterle sul piatto quegli aromi che la facciano “sentire a casa”.
Abbiamo un magnifico affaccio sullo Ionio. Una veduta mozzafiato. Apertura a centottanta gradi sulla vastità del declinare del terreno, poi sul mare, poi sul cielo. Vastità. Una volta qualcuno ci disse, davanti a tanta immensità di vago sapore leopardiano: “Ma questa è la mondovisione!”.
Eppure, quando qualche amico o amica rossanese raggiunge lo stesso punto, l’attenzione è assorbita da tutt’altro: le piante spontanee del finocchio selvatico, numerose sul nostro terrazzo naturale. A noi non dicevano niente, finché non abbiamo visto l’entusiasmo nel rintracciarle e la cura nel coglierle. Allora abbiamo capito: è aroma che racchiude in sé un’intera storia; ricomprende valori, modi di pensare, abitudini di vita: un’intera cultura vi è implicata.
Pare che la piana di Maratona, dove si combatté una storica cruenta battaglia tra ateniesi e persiani, fosse tutta punteggiata di queste piante. Parenti strette del fieno, dunque anche piante-simbolo di ciò che ha breve durata: la vita umana, insomma.
Chissà: forse all’oplita ateniese ricordava il sapore dei piatti di casa; forse, al soldato persiano evocava qualche cibo preparato con cura dalle mani materne. Forse entrambi, raggiunti da quell’aroma così caratteristico, provarono un sussulto di nostalgia, una voglia di essere altrove, il desiderio del calore della loro famiglia. Ma solo alcuni poterono farvi ritorno.
Quante cose sa raccontarci un semplice ciuffo di finocchio selvatico…




Commenti(3)
Patrizia Fortino dice
30 Settembre 2025 alle 9:00Mie amatissime,
Quanti ricordi con il finocchio selvatico 😍
In particolare le melanzane sbollentate e Poi condite con olio, sale aceto e tanto finocchio.
Giuseppe dice
30 Settembre 2025 alle 14:20Il profumo del finocchio selvatico valorializza questo lembo di terra e richiama a quel gesto atavico e stupendo con cui zia Nanna ne gettava una manciata nell’impasto del pane. La forza lievitante nascosta che vivificava il calore nero del forno a legna e quella pagnotta che spezzata ancora calda lasciava una miriade di briciole che riempivano il cuore di condivisione, fatica, donazione
Cinzia dice
30 Settembre 2025 alle 14:33L’ aroma del finocchio selvatico mi fa venire in mente il profumo dei tortellini in brodo nella cucina della nonna, il giorno di festa. Come agli opliti e agli “immortali”, questo aroma, nascosto fra le pieghe degli affetti, se fatto riaffiorare sa dipanare l’immagine di un’attesa premurosa, di accoglienza di bene, l’idea di casa. L’aroma, come il gusto, è forse tenace e recondito, dentro di noi, forse meglio di una musica sommersa, o di una foto ingiallita in un album che da tanto tempo non si sfoglia più… Dite bene: parla di un’intera storia, un’intera cultura, che forse -ahimè- stanno scomparendo. Il papa domenica parlava “dell’importanza della catechesi che si trasmette intorno alla tavola, in famiglia”… fra l’acciottolio delle stoviglie: nel respiro, appunto, di un aroma. È da lì che incomincia (e forse anche “si gioca”) il nostro essere uomini. Di più: “il nostro essere cristiani”.
Grazie, care Sorelle. Sempre grazie. A presto!