Figlio dell’esortazione. Gli occhi di Barnaba

La scuola è appena finita; è tempo di scrutini e pagelle.

Difficile descrivere l’andamento di un anno con un numero tondo… con numero che non abbia “appendici” o “pertinenze”: quei “più”, quei “meno”, quegli “e mezzo” che durante l’anno hanno colorato il numero del giudizio.

Per esempio, il “più”: grande segno di incoraggiamento, a voler dire che si è intravisto qualcosa di ulteriormente buono, rispetto al lavoro concretamente svolto. Persino le insufficienze, ingentilite dal “più”, risultano meno insopportabili, meno pesanti. E prospettano margini di miglioramento…

Allargando il discorso, ci si può domandare: è facile riconoscere il bene? Il bene è di per sé evidente?

La realtà si presenta complessa, tinta di chiaroscuri che rendono le situazioni leggibili da più versanti, e quindi passibili di giudizi anche molto diversi tra loro.

Occorre “indossare” gli occhiali giusti per accostarsi ad essa…

Ci si può avvicinare alle cose… conservandosi interiormente distanti, con occhio che soppesa ma non apprezza; che indaga ma non sa, o non vuole, sbilanciarsi a “dire-bene” di ciò che vede.

Ma ci si può accostare alle cose, al vissuto delle persone, alle novità piccole  o grandi che intessono la nostra storia e quella di chi vive con noi, con interiore compiacimento, con la capacità di goderne e di incoraggiare, sostenere e promuovere il bene visto o anche solo appena intravisto.

Se ci pensiamo bene, ognuno di noi conserva grata memoria di chi ha saputo “darci un più”, cioè di chi ha saputo vedere in noi il bene, magari più di quanto non ne fossimo capaci noi stessi; vedere e antivedere gli sviluppi positivi delle nostre potenzialità.

L’11 giugno, che quest’anno è coinciso con la festa della Santissima Trinità, è la memoria liturgica di un grande santo: Barnaba, compagno di S. Paolo nelle prime grandi avventure apostoliche.

Barnaba, per la sua propensione a vedere il bene, riconoscerlo, goderne e apprezzarlo, si era guadagnato un soprannome stupendo: “figlio dell’esortazione”. Non “figlio del giudizio”, e nemmeno “figlio del rimprovero”: giudizio e rimprovero che sono categorie così presenti nel nostro modo di approcciare la realtà.

Barnaba sapeva che riconoscere il bene non è cosa né facile né da ingenui, ma richiede maturità, capacità di discernimento, distacco da sé e la grande fatica di accompagnarlo.

Soprattutto, saper godere del bene espresso dagli altri è indice di un cuore che ha vinto l’insidia dell’invidia, la quale per antonomasia è l’incapacità di godere del bene altrui, per via dell’occhio malato con cui lo guardo.

La Chiesa degli inizi poté svilupparsi e espandersi presso culture molto distanti da quella giudaica iniziale, anche grazie a Barnaba, al suo modo di guardare, così intriso di benevolenza (non di buonismo), e di incoraggiamento.

“Quando vide la grazia del Signore – che cioè il Vangelo veniva accolto con tanto entusiasmo dai greci -, Barnaba si rallegrò“. Così sinteticamente raccontano gli Atti degli Apostoli (At 11,23). E in questi due verbi: vedere-rallegrarsi, è racchiusa tutta la personalità di Barnaba, e anche la sua virtù.

Anche oggi c’è tanto bisogno di uomini e donne capaci di riconoscere il bene e rallegrarsene; ma, se vogliamo che in circolazione non manchino dei “Barnaba del Duemila”, alleniamo anzitutto le nostre diottrie a vedere, riconoscere il bene, e insegniamo al cuore a gioirne, sempre.

Che S. Barnaba ci guidi a diventare pure noi “figli dell’esortazione”.

Dare fiducia, apprezzare, gioire del bene degli altri, fa espandere vita, e vita buona, attorno a noi.

 

 

 

 

Commento

  1. francesco dice

    Buonasera, siete eccezionali, meravigliose queste perle di saggezza e meditazione, aiutano molto a connettersi con la vita autentica, poi Barnaba è davvero una figura straordinaria, che ha fatto della sua intima vocazione una ragione vera di spendita della propria esistenza per gli altri, e proprio sul discernimento serio e profondo delle situa è entrato in contrasto addirittura con l’amato Paolo nella verità e carità, demolendo quel buonismo relazionale dilagante che di certo non costruisce ed edifica la comunità cristiana, anzi la mina dal di dentro. Un forte abbraccio francesco e Gabriella

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