Parole che non vanno in ferie. 3. Sonorità

La sorprendente sonorità del monastero

Una delle grandi scoperte di chi accosta la vita del monastero è la sua sonorità.

Ci si può, e ci si deve attendere, che nel monastero abiti il silenzio; un silenzio fatto di fruscii di abiti; di pagine delicatamente sfogliate; di passi, ciascuno inconfondibile nella sua cadenza; di preghiera e riflessione; di dialoghi sussurrati, non gridati; di toni di voce pacati; di lavoro vivace, alacre e concentrato; di austerità, anche.

Ma la sonorità non la si immagina. Eppure si può dire che praticamente tutta la vita del monaco, della monaca, sia intrisa di sonorità. D’altra parte, a inventare le note musicali fu proprio un monaco: Guido d’Arezzo (992-1050).

 

Tra Gershwin e Agostino

Strano. Chissà perché, quando si parla di monastero la mente raccoglie immagini oscure legate ad esso: vita repressa, triste; luogo chiuso, buio, opprimente. Invece, se si sgombra il campo da tutta una serie di preconcetti e luoghi comuni, si può arrivare a comprendere il monastero per quella che è la sua vera identità: essere un luogo vivo, che custodisce vita; e la sonorità è l’espressione forse la più alta dell’amore alla vita. Quando si è felici, quando si è innamorati, quando si vivono momenti di profonda gratitudine e comunione con tutto ciò che esiste, si sente che non basta più la parola a dire quel nostro sentimento; abbiamo bisogno di note, melodie, musica, canto e ritmo.  In una parola: le espressioni più piene della vita sono attraversate dalla sonorità.

Una vecchissima canzone americana, ancora oggi interpretata da grandi artisti, aveva come protagonista una ragazza innamorata, che così esprimeva, in un mix di ritmo parole e musica, la sua incontenibile gioia di vivere, scaturita dal suo amore ricambiato:

I got rythm

I got music

I got my man

Who could ask for anything more?

 

(Sento il ritmo, sento la musica,

ho l’uomo che amo,

chi potrebbe chiedere di più?

Da: I got rythm di G. Gershwin).

 

 Ecco. La sonorità è l’insieme di ritmo, suoni, melodia, canto, che si mettono in moto anzitutto dentro di noi, quando abbiamo un assaggio della pienezza della vita, che sta nell’amore.

Il suono è la voce dell’anima, la voce del cuore. Con la voce del corpo possiamo dire. Col canto, possiamo evocare; suggerire; desiderare; protenderci oltre noi stessi…

Agostino, in una delle sue meravigliose frasi-intesi, arrivò ad affermare: «Cantare è proprio di chi ama», più bello ancora in latino: Cantare amantis est.

Ed esortava così i suoi fedeli di Ippona: «Cantate con le voci, cantate con i cuori; cantate con le labbra, cantate con la vostra vita buona!».

Se la vera lode gradita a Dio è l’armoniosità di una vita buona, la stonatura che all’orecchio di Dio risulta insopportabile è la mancanza di carità:

«Il coro è un complesso di cantori che cantano insieme. Se cantiamo in coro dobbiamo cantare d’accordo. Quando si canta in coro, anche una sola voce stonata ferisce l’uditore e mette confusione nel coro stesso.

Se la voce di uno che canta in maniera inopportuna disturba l’accordo dei cantanti, la mancanza di carità non disturberà a maggior ragione con le sue stonature l’accordo delle voci che lodano Dio?»  (Esp. Sal 149).

 

 Dall’incanto al canto

La sonorità che si vive in monastero dice molto anche di quella sonorità interiore che ci portiamo tutti dentro, nelle varie stagioni della vita.

Si può dire che ogni vocazione porti con sé una sua sonorità originalissima, unica. Non lasciarsi rubare la sonorità è la fatica, ma anche l’impresa, di ogni vocazione.

Sulle prime, in monastero la sonorità esercita un vero e proprio “incanto”: tutto sembra bello, radioso, esaltante, facile. Quel canto, quei suoni, paiono sgorgare facilmente dal cuore e dalle labbra.

Ma basta poco per accorgersi che quella sonorità è esigente, e richiede di essere custodita anche quando, come dice Qohelet, «non ci proviamo alcun gusto». Ecco che dall’incanto scivoliamo nel dis-incanto. Nei giorni in cui dentro di noi vorremmo lasciar dilagare i contrappunti del pianto, o del dolore; quando vorremmo solo dare spazio alle pause del silenzio, di un silenzio piatto e privo di ogni entusiasmo; allora tenere viva la sonorità è laborioso e per nulla gratificante. Ma anche il dis-incanto è generativo: riuscire a reggerlo dà come esito il frutto di una sonorità più profonda, meno emotiva, meno “di alti e bassi”; la profondità che conoscono le madri e i padri, nel dimenticare se stessi per il coniuge e i figli, e gli sposi, nell’amore che persevera anche quando manca fra loro il contraccambio di un pur semplice grazie.

Reggere questa “fase del disincanto” è la vera prova di ogni vocazione, cioè di ogni chiamata all’amore.

Nel Cantico dei Cantici, piccolo poema d’amore incastonato nella Bibbia fra i libri sapienziali, ad un certo punto incontriamo le parole con cui l’amato invita l’amata:

«Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!

Perché, ecco, l’inverno è passato,

è cessata la pioggia, se n’è andata;

i fiori sono apparsi nei campi,

il tempo del canto è tornato!»

(Ct 2, 10-11)

L’amato in fondo sta dicendo all’amata: scrollati di dosso il torpore gelido del disincanto; non rimpiangere più il periodo dell’incanto: hai davanti a te, abbiamo davanti a noi il tempo del canto: questo nostro presente, passato attraverso il vaglio di tante prove, finalmente può esprimere, puro, semplice, libero, il canto. Sonorità ricca di note-pause-ritmo, e perfino ospitale verso le dissonanze: accolte come passaggi che trovano la loro collocazione nell’armonia dell’insieme.

Ora è il tempo del canto.

Non lasciamoci rubare la sonorità.

 

 

 

 

 

Commenti(6)

  1. Immacolata Maringola dice

    Il monastero e’, per me un angolo di paradiso dove regna tutto cio’ che in origine Dio ha creato. Grazie.

  2. francesco dice

    Riflessione bellissima, Suore magnifiche, dono meraviglioso da condividere.
    Alleluia e buona domenica.
    francesco e Gabriella

  3. Giulio dice

    Anche il pianto, quello vero, versato in momenti unici ed irripetibili, ha una sua “sonorità” e giunge a Dio come preghiera.

  4. Carmine dice

    Sonorità:
    Vibrazione e linguaggio dell’anima e del cuore espresse attraverso il canto, il suono o qualunque azione armoniosa della natura, il vento, la pioggia, il mare,……la neve!
    Grazie a voi per questi momenti di riflessione.

  5. Carmelina Graziano dice

    Che bello sarebbe se facessimo in modo che questo angolo di paradiso potesse regnare nelle nostre case, scuole, nei consigli comunali, provinciali, regionali e…….. .Allora potremmo avere la percezione di essere ascoltati proprio come avviene nei monasteri ed in particolar modo nel vostro.

  6. Fabio S. dice

    Sonorità è “armonia”, consonanza di suoni apparentemente contrapposti. Non a caso nella mitologia greca Harmonia era figlia di Ares, dio della guerra, e di Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. Così come l’armonia è logica successione di suoni, la sonorità della vita è segno di sentimenti ordinati

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